Un comandamento nuovo

Il comandamento di Cristo di amarci reciprocamente come lui ha amato noi è qui inteso in chiave liturgica, cioè nei termini di dare la propria vita diventando una cosa sola in Cristo durante la Messa.

#amore
#battesimo
#vera Chiesa
#sacerdozio

February 1, 2021

Introduzione

Immagino tu abbia familiarità con il nuovo comandamento di Gesù, ma voglio appuntarlo lo stesso: “Amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Oppure:

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12).

Il nuovo comandamento riguarda l’amore. Dato che l’amore di Cristo è il nostro modello, sorge la domanda: Dobbiamo anche noi redimere il mondo morendo con le mani e i piedi inchiodati a una croce, il naso rotto, il cuore gonfio e la testa infilzata da una corona di spine?

Uhmm, dai, sì, la risposta pare essere un bel NO. Difatti, Cristo, il sacrificio, “lo ha fatto una volta per tutte, offrendo sé stesso” (Ebr 7, 27b).

Il comandamento nuovo non chiede alle persone che seguono Cristo di morire fisicamente su una croce.

Ma allora che cosa chiede esattamente?

Le prossime sezioni rispondono dal punto di vista della liturgia cristiana; nello specifico, sosterrò che Cristo chiede ai suoi fedeli di offrirsi come cibo per i fratelli e le sorelle durante la Messa.  

L’amore di Cristo

Se scartabelli il Nuovo Testamento, scoprirai questa conoscenza dell’amore: “In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare le nostre vite per i fratelli e le sorelle (1Gv 3, 16). E ancora:  

  “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la propria vita per i suoi amici” (Gv 15, 13).

Ecco, pare che l’amore cristiano consista primariamente nel dare la propria vita. Perciò, uffà, che barba, siamo al punto di partenza:

Che cosa significa dare la vita? Come possiamo dare la nostra vita? Pensi che sia possibile obbedire al comandamento di Gesù senza giungere al punto della morte fisica?

Partecipare attivamente al mistero divino

Donare ai poveri tempo, denaro, vestiti e qualsiasi altra nostra risorsa è un buon modo di dare la nostra vita per i fratelli e le sorelle. Non ci sono dubbi. Però, guarda, qui non punterò su questo tipo di offerte caritatevoli. Piuttosto, desidero concentrarmi su un altro fatto della carità cristiana: quello che facciamo come cristiani non è separato da quanto celebriamo nella liturgia, ma lo rispecchia e – in certo modo - lo mette in atto. La costituzione sulla sacra liturgia emanata dal Concilio Vaticano Secondo formula questa realtà con le seguenti parole:

“La liturgia contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa” (SC 2).

Sissignore. Proprio così. Le celebrazioni eucaristiche donano a ogni persona il potere di partecipare al mistero di Cristo, ovvero, alla sua morte e resurrezione.

La Santa Messa ha in sé il potere di mostrare al mondo che la vera Chiesa è un comunità dove ogni membro è chiamato insieme alla altre membra ad essere “un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1Pt 2, 5).

Riguardo al diritto e all’opportunità di unirsi a Cristo e attingere alle ricchezze del suo mistero per mezzo della liturgia, il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea come Cristo stesso abbia già fatto tutto per noi, sicché non dobbiamo fare altro che pregarlo di perfezionarci e aiutarci a diventare una cosa sola:

“Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. «Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo». Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello: «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. [...] Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un'estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi»” (CCC 521).
Abbazzia di Vezzolano, XI-XII sec. – Timpano romanico

Completare ciò che manca

Celebrare l’Eucaristia potrebbe davvero essere la via maestra per dare la nostra vita l’uno all’altra partecipando così al mistero di Cristo. Idealmente, basterebbe che ogni persona si offrisse consciamente, con tutta la forza, la mente e il cuore, proprio durante le celebrazioni, chiedendo di essere lavata dal sangue dell’agnello e di nascere nuovamente, generata dall’acqua e dallo Spirito. In questo modo, ogni partecipante diverrebbe una cosa sola con Cristo, poiché “chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito” (1Cor 6, 17).

La vera Chiesa è una comunità dove ogni persona ha il diritto liturgico e l’opportunità spirituale di compiere gli stadi della vita di Gesù e affermare con San Paolo: “Io do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).

Ma cosa manca ai patimenti di Cristo? A pensarci bene, ciò che manca, cari fratelli e sorelle, siamo solo noi. Oggià, eh sì, oggià. Lo scrivo a caratteri cubitali: SOLO NOI. Noi che ancora stentiamo ad essere un solo spirito con Cristo nel suo unico corpo. In effetti, la partecipazione attiva alla liturgia terrena può essere vista e vissuta come l’offerta alla comunità dei santi del cielo di quello che a loro manca, cioè - lo ripeto - noi. Quello che manca ai santi è la nostra partecipazione  alla liturgia celeste in qualità di sacerdoti regali.

La liturgia dei santi  è la liturgia celeste e la liturgia terrena ci dà l'occasione di parteciparvi:

 “Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo” (SC 8).

Ecco, alza intorno gli occhi e guarda, San Paolo potrebbe davvero avere in mente le nostre offerte spirituali nella vera Chiesa quando dice:

“Il ministero di questa liturgia non provvede solo alle necessità dei santi, ma trabocca verso Dio attraverso molte azioni di grazie” (2Cor 9, 12).

Unirsi a Cristo durante la Messa potrebbe essere il modo di farsi pane spezzato per i fratelli e le sorelle dando loro qualcosa da mangiare. Quando formiamo un solo spirito con Cristo, di fatto, partecipiamo alle ricchezze del “pane vivo disceso dal Cielo” (Gv 6, 51a). Tale partecipazione misterica può crescere sino ad incarnarsi in una esperienza personale della luminosità radiante della liturgia:

“Se offri la tua vita all’affamato e sazi la vita dell’afflitto, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio” (Is 58, 10).

La nostra vita

“Se offri la tua vita all’affamato, la tua tenebra sarà come il meriggio”. Che lucentezza splendente ci viene promessa! Mah, ehi, - tu mi dirai - aspetta un attimo, sorella, lascia che ti chieda: “Che cosa dobbiamo intendere per ‘vita’? Cosa significa questo termine?”.

Che bella domanda! Sei grande, fratello.

Il termine italiano vita traduce la parola ebraica nephesh (נֶפֶשׁ), che rimanda alle nostre risorse psicofisiche; nephesh (נֶפֶשׁ)  si riferisce a cose come gli istinti, l’ego e la volontà di potenza. Il termine denota la nostra struttura psicofisica, quella che il Nuovo Testamento chiama alternativamente soma psychikon (σῶμα ψυχικόν), cioè corpo psichico, o più spesso, psyche (ψυχή). Quest’ultima parola è variamente tradotta con vita o anima.

La nostra vita

Dunque, beh, ecco, dare la nostra vita è – in senso scritturale – tutta una questione di offrire la nostra struttura psicofisica.

La vera vedova

Celebrare la divina liturgia per diventare una cosa sola in Cristo non è un diritto ad uso esclusivo del clero. Anzi, è vero il contrario. Tutte le persone battezzate sono invitate a diventare un solo spirito con Cristo e tutte potranno cantare: “Il SIGNORE è mia parte di eredità e mio calice” (Sal 16, 5a).

Ciascun membro della vera Chiesa ha il diritto, l’opportunità e il dovere – lasciami rimarcare sto punto: DOVERE – di imparare a svolgere nella liturgia terrena il ministero celeste del sacerdozio regale.

La vera Chiesa è una vedova sulla Terra. È una Chiesa povera, una Chiesa per i poveri.

La Chiesa dei poveri non alza la fronte, non si vanta dicendo di essere “tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5, 27). Al contrario, la Chiesa povera implora che le venga “data una veste di lino puro e splendente” (Ap 19, 7), nell’attesa che tutti i suoi membri diventino una cosa sola in Cristo.

Perché l’unità in Cristo possa realizzarsi, però, il clero è invitato a donare sacramentalmente tutto se stesso per la Chiesa, “come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5, 25b).

L’abbondanza di quanti amministrano le ricchezze di Cristo ha da essere donata, nella liturgia, ad ogni singolo membro del suo corpo. Così, l’abbondanza di alcuni membri va a bilanciare i bisogni di altre membra: “Si tratta di uguaglianza”(2Cor 8, 13)[1].

 Le parole di Gesù circa l’offerta della povera vedova possono aiutarci a chiudere con un’immagine esaustiva:

“In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte della loro abbondanza. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere (bios)” (Mc 12, 43-44).

Conclusioni

Pensando al nuovo comandamento del Signore, San Giovanni ci interpella:

“Dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha quanto è necessario per vivere (bios) in questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude le proprie viscere, come rimane in lui l'amore di Dio?” (1Gv 3, 17).

Questo articolo ha mostrato che la domanda di San Giovanni sprona a dare la propria vita non solo attraverso la carità per le strade del mondo, ma anche e soprattutto mediante la partecipazione attiva al mistero di Cristo durante la Messa. Tale idea è stata associata alla natura effettiva della vera Chiesa sulla Terra – la Chiesa in questo mondo è una vedova che aspetta di riavere suo marito per resurrezione, non una Sposa.

[1] Damiani (2019) specifica il metodo per bilanciare bisogno e abbondanza di ricchezze nella vera Chiesa, mostrando che il ruolo sacramentale delle donne è insostituibile.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

CCC, Catechismo della Chiesa Cattolica, Papa Giovanni Paolo II (1992, 1997), e Papa Francesco (2018), disponibile all’indirizzo https://www.vatican.va/archive/catechism_it/index_it.htm

SC, Sacrosanctum Concilium (1963), Pope Paul VI, disponibile all’indirizzo https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html

Alessandra Damiani (2019), Il Grande giorno della festa, Genesi, Torino (ISBN9788874147366).

ALTRI ARTICOLI
September 21, 2023
Il sacrificio animale
Qui esplicito che Cristo ha ristabilito il sacrificio ebraico nel tempio del suo corpo, ovvero nella carne di ogni essere umano. Quale che sia la tua religiosità e il tuo genere, beh, guarda, a te, proprio a te, è concesso di compiere sacrifici animali e di servire Dio nel suo tempio.
#sacerdozio
#Spirito
#vera Chiesa
October 25, 2021
Cristo era ricco
Qui spiego che la ricchezza di Cristo consta di amore e gloria. Il lieto annuncio è che tale ricchezza è anche nostra. Ogni persona può partecipare dell’amore e della gloria di Dio secondo “la misura della statura della pienezza di Cristo” (Ef 4, 13b).
#battesimo
#vera Chiesa
#Spirito
#sacerdozio